Workshop 14 novembre : Il passato nel presente: la lingua del patrimonio
Il patrimonio costruito è il segno più evidente della presenza del passato nel nostro quotidiano. Al contrario del patrimonio immateriale, esso è caratterizzato da una presenza concreta che ci obbliga a scegliere, se ignoralo o se riappropriarcene. Diversamente da quanto accade per i contenuti del patrimonio immateriale, che rimangono sostanzialmente immutati nel tempo, è la loro interpretazione a cambiare: infatti, la funzione degli edifici muta, si evolve nel tempo e solo alcuni di essi non subiscono trasformazioni. Ai cambiamenti di funzione si accompagnano mutamenti di struttura, fatto salvo per quei casi nei quali un edificio esistente è adattato per assolvere un nuovo uso o diventa per qualche ragione terreno consacrato. Il compito degli storici dell’architettura e degli archeologi è appunto quello di studiare come un edificio si trasformi, anche se solamente nei testi troveremo le ragioni che hanno portato a questi cambiamenti. I testi ci possono mostrare l’evoluzione degli edifici, e in particolare, ci possono dire come essi siano stati percepiti nel tempo e come sia stato possibile il loro passaggio di status da semplici edifici a patrimonio.
Questa conferenza intende mostrare il contributo che l’informatica umanistica (digital humanities) può offrire alla comprensione del passato e degli usi del passato nel presente attraverso la lingua. Poiché la lingua è onnipresente, il suo potere e le sue mancanze nel mediare i saperi e nel costruire giudizi, valori e percezioni, sono spesso sottovalutati. L’evento in questione permetterà agli studiosi della lingua del patrimonio e a chi si occupa di gestione del patrimonio di confrontarsi su alcune questioni basilari adottando diverse prospettive sia nazionali sia teoriche.
Uno degli argomenti principali della conferenza è la lingua come rivelazione delle percezioni, in altre parole cosa le persone valorizzassero un tempo e come i cittadini di oggi diano valore al proprio patrimonio costruito. Si tratta di una questione non semplice da affrontare perché i diversi sistemi educativi possono avere tramandato dei valori che non per forza coincidono con quelli attualmente percepiti e/o attribuiti agli edifici. È questo il caso di molti paesi ex-comunisti, dove edifici come le chiese, le ville e i palazzi signorili, un tempo identificati come simboli di oppressione, sono oggi considerati come vettori d’identità nazionale e simbolo di ricchezza culturale. Tale situazione è analoga a quella dei prodotti dell’architettura vernacolare e industriale, che per molto tempo sono stati sottostimati e che oggi, invece, sono ritenuti importanti, sebbene non sempre dagli stessi abitanti o utilizzatori. Attraverso i testi del passato e del presente, è possibile, quindi, tentare di comprendere i cambiamenti intervenuti nella percezione degli edifici.
Un’altra questione che sarà affrontata riguarda la lingua stessa del patrimonio. La lingua, infatti, è dinamica e fondata su forti presupposti socio-culturali. Di conseguenza, tradurre un concetto da una lingua a un’altra significa trovare una parola equivalente, ma non vuol dire necessariamente riprodurre il valore o la connotazione esatta di quella stessa parola. L’uso di una lingua franca, come ad esempio l’inglese, non è di aiuto in tal senso, poiché anche laddove vi sia una condivisione delle stesse parole, i significati soggiacenti potrebbero essere diversi e portare a malintesi, anche quando si pensa di aver compreso l’altro. I valori veicolati dalle parole sono una delle cause principali d’incomprensione nei processi di diffusione della conoscenza. Le parole tecniche hanno poco senso per chi tenta di capire le implicazioni della ricerca scientifica. I cambiamenti climatici hanno effetti sul patrimonio in forme diverse, anche a causa della mancanza di energia sostenibile in edifici che sono stati concepiti senza tenerne conto. Il problema e le possibili soluzioni vanno certamente discusse, ma, come nel caso della percezione, la vera sfida resta quella di permettere una mediazione linguistica affinché tutti gli attori possano comprendere i concetti che altri già condividono, siano essi esperti o comuni cittadini.
Le questioni ivi descritte rappresentano un aspetto fondamentale dell’informatica umanistica, che si basa su un approccio interdisciplinare e sfrutta le diverse possibilità offerte dalle tecnologie dell’informazione. Queste ultime possono variare dal lavoro di studiosi su edizioni critiche di manoscritti in formato digitale agli stessi documenti analizzati con tecnologie di data-mining; in alternativa, si può spaziare dallo studio dei singoli testi all’analisi di raccolte di documenti del passato o contemporanei tramite la linguistica dei corpora, analizzando perciò le percezioni del passato tramite l’analisi degli aspetti valutativi della lingua. Infine, si va dallo studio dei dizionari storici, considerati come depositari degli usi del passato, alla creazione di dizionari elettronici che consentono l’accesso immediato a grandi quantità di dati.
Il convegno non è tanto incentrato sull’informatica umanistica in sé, quanto si concentra sugli strumenti che essa può fornire al fine di comprendere meglio il nostro passato e, quindi, il nostro presente.
Luogo dell'evento
Institut Français Firenze
Evento parallelo a ICOMOS inserito nel programma ICOMOS.
Comitato Scientifico
Marcello Garzaniti, Annick Farina, Geoffrey Williams, Nicoletta Maraschio, Laura Cassi.
Comitato di Organizzazione
Annick Farina, Christina Samson, Valeria Zotti